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Slow Food, l’archeomercato e i gusti della tradizione

Non solo monumenti e cultura ma anche tanto buon cibo di qualità. Una prerogativa che non è sfuggita a Slow Food, associazione internazionale no profit da sempre impegnata in campagne volte a dare il giusto valore al cibo nel rispetto di chi lo produce, dell’ambiente e degli ecosistemi. Una prerogativa che appartiene alla Regione Lazio che ne vanta diversi da non perdere.

La fagiolina di Arsoli

Le origini della fagiolina di Arsoli risalgono al XVI secolo quando arrivarono nel Bel Paese grazie a Carlo V di Spagna. Nel piccolo paese di Arsoli la sua coltivazione risale al 1552 dove si narra venisse rubata tanto da costringere Papa Giulio III ad inviare due magistrati. Ha trovato terreno fertile nella valle del Fosso del Bagnatore, proprio alle pendici di Arsoli.

Caratteristiche

La pianta da cui nasce è un rampicante decisamente “estroso” che può raggiungere anche i 3 metri e mezzo e necessita di canne per sostenerne la crescita. Caratterizzata da fiori bianchi ha bisogno di parecchia acqua e viene raccolta a mano. La sua consistenza è facilmente riconoscibile: è burrosa, dalla pelle sottile e si mantiene per molto tempo dopo la cottura. Facilmente digeribile e ricca di proteine, è facile da utilizzare in cucina senza ammollo.

Come si cucina

Ad Arsoli si cucina nella pignatta di terracotta e si gusta in una zuppa con le ciciarchiole (quadrati di pasta fatta in casa) o in umido con cipolle, olio extravergine di oliva, pepe nero e pane raffermo.

Fagiolone di Vallepietra

Il fagiolone di Vallepietra, detto anche “ciavattone”, viene coltivato a circa 800 metri di altitudine, nel piccolo borgo che si trova nel Parco dei Monti Simbruini. Anche in questo caso la dominazione spagnola è stata galeotta, in particolare parliamo di quella del XVI secolo.

Caratteristiche

Questo fagiolo cresce grazie alla presenza di acqua e all’altitudine. Tradizionalmente la pianta rampicante da cui proviene veniva coltivata insieme al mais locale agostinella, così chiamato perché raccolto a fine estate, utilizzato come farina da polenta. Il suo seme è grande di colore bianco perlaceo. Grazie ai terreni calcarei la sua buccia è molto sottile.

Come si cucina

Si mangia in bianco con olio extravergine e cipolle, oppure condito con sugo di salsiccia e cotenna di maiale oppure in zuppe e insalate.

Giglietto di Palestrina

Un dolce dal retaggio nobile e dall’anima semplice. Ci vogliono pochi ingredienti per fare i giglietti, biscotti legati alla nobile famiglia dei Barberini, signori di Palestrina, che comprarono la cittadina direttamente dai principi Colonna.

Caratteristiche

La storia vuole che la passione per questi dolci arrivò durante l’esilio dei Barberini a Parigi alla corte di Luigi XIV, dove i biscotti venivano fatti seguendo la forma del simbolo della dinastia dei Borbone. Tornati in Italia chiesero ai pasticcieri di corte di realizzarli utilizzando le api, presenti sullo stemma di famiglia. La variazione non incontrò il successo del pubblico e la vecchia forma francese del giglio riprese presto il suo posto.

Come si preparano

Si tratta di un dolce fatto con ingredienti molto semplici dove conta la qualità delle materie prime, come recita il disciplinare Slow Food. Carta e penna alla mano prendete farina, zucchero e uova e munitevi di tanta pazienza. I riccioli del giglio hanno bisogno di tempo per essere perfetti e di artigiani capaci di dargli vita ce ne sono rimasti ben pochi.

I prodotti dell’Archeomercato della Terra

Dalla sinergia tra il Comitato della Condotta Slow Food di Tivoli e Valle dell’Aniene e il Comune di Tivoli nasce l’Archeomercato della Terra che si prefigge di promuovere il cibo di eccellenza del territorio rispettando la cultura e l’ambiente come dimostra anche la scelta di sostenere iniziative plastic free. Ecco alcuni dei prodotti proposti nel corso di eventi che prevedono anche percorsi di degustazione.

Ciambella a cancello di Mentana

La storia della ciambella a cancello nasce da lontano. Se ne ha infatti testimonianza già alla metà del ‘700 grazie agli antichi statuti della Confraternita di Sant’Antonio Abate dove si dice che uno degli obblighi dei confratelli è quello di portare due ciambelle a cancello come dono per il vecchio e il nuovo festatorolo.

Caratteristiche

A differenza del nome che potrebbe trarre in inganno non si tratta di un dolce zuccherato. Oggi non ci sono molti produttori di questa leccornia che di solito viene prodotta in occasione dei giorni di festa, come il Natale e la Pasqua o di ricorrenze famigliari, ma la tradizione viene comunque conservata grazie al lavoro fatto dalle famiglie che ne mantengono viva la memoria.

Come si cucina

La ciambella a cancello è fatta con poche materie prime di qualità: olio extravergine di oliva, vino locale, farina 00 di grano tenero, uova, sale, anice e acqua. La lavorazione prevede più tecniche di cottura: dopo la realizzazione dell’impasto, che viene steso fino ad ottenere un cilindro di 2 centimetri di diametro, si taglia un pezzo lungo tanto quanto basta per formare una ciambella di 12-15 centimetri a cui si aggiungono altri due pezzi di 13-16 centimetri che si mettono a croce sulla ciambella già preparata. La prima cottura è in acqua bollente leggermente salata, giusto il tempo di fare risalire in superficie le ciambelle, che in seguito vengono messe ad asciugare su un telo per 24 ore  e cotte al forno per un’ora.

Tozzotto di San Michele

Nel comune di Castel Madama, splendido centro a pochi chilometri da Tivoli, si produce un pane aromatizzato molto caratteristico, che si chiama tozzotto di San Michele.

Caratteristiche

Si tratta di un pane che secondo tradizione viene fatto direttamente nelle cucine delle famiglie castellane in occasione dei festeggiamenti per il santo patrono, San Michele Arcangelo, che si tengono 2 volte l’anno, a primavera e alla fine di settembre.

Come si cucina

Il tozzotto si prepara con ingredienti molto semplici: farina di frumento, uova, anice e lievito che vengono impastati con un infuso di alloro. L’impasto lievita per molto tempo e successivamente i panini rotondi sono lessati in acqua salata; dopodiché si fanno asciugare sopra un tavolo di legno, si incidono a metà e si infornano a fuoco vivo. Si serve all’inizio del pasto e si accompagna a salumi e formaggi.

Sarzefine di Zagarolo (scorzobianca)

Le radici hanno un fascino senza tempo e resistono all’assalto del cibo fast e della fusion-mania. Ne sanno qualcosa a Zagarolo, dove si coltiva – e si mangia con gusto – la sarzefine di Zagarolo nota anche come scorzobianca e appartenuta al genere Tragopogon L. Si tratta di un cibo che si ritenesse avesse anche poteri curativi.

Caratteristiche

Si tratta di una radice molto carnosa che riempie i banchi dei mercati rionali nei mesi invernali e a cui viene dedicata anche una festa locale nel mese di gennaio. Dal sapore dolce e delicato si semina a marzo per avere i fiori in estate (giugno-luglio) mentre la raccolta parte a novembre e finisce a febbraio.

Come si cucina

Sia la radice che le foglie si consumano solamente cotte. Secondo una ricetta tipica di Zagarolo si lavano e si fanno a pezzetti, mentre per la cottura si predispone un tegame con olio, aglio, prezzemolo, pomodoro, sale e peperoncino. Ottime come piatto unico insieme a carne (salsicce) e pesce (baccalà).

 

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